
Esiste un forte legame fra diabete e ipertensione, si direbbe quasi inscindibile e ciò per il fatto che oltre il 60 per cento dei pazienti diabetici di tipo 2 è iperteso. Perché avviene tutto questo? Quali sono gli effetti negativi di un rialzo pressorio? Come intervenire in maniera efficace?
La pressione arteriosa elevata rappresenta un importante fattore di rischio per eventi cardiovascolari (ischemici cardiaci e cerebrali) che possono portare a morte precocemente (oltre l’80% della mortalità per diabete avviene per accidenti cardiovascolari) o che sono altamente invalidanti. Si riducono così le aspettative di vita del paziente diabetico con il conseguente aumento dei costi sociali della malattia. Proviamo allora ad esaminare in dettaglio i vari aspetti del problema per cercare di fare un quadro chiaro e definito di tale patologia.
Quando si parla di ipertensione arteriosa?
Ogni giorno in TV, quando ascoltiamo le previsioni del tempo, ci capita di sentir parlare di temperature massime e di temperature minime. In un certo senso avviene la stessa cosa per quanto riguarda la pressione arteriosa. Infatti nel controllo della pressione si deve sempre tenere conto sia del valore massimo che del valore minimo.
In passato, quando ancora non vi erano sufficienti conoscenze, si dava importanza quasi esclusivamente ai valori della pressione massima (la cosiddetta pressione sistolica). Molti studi hanno però dimostrato come bisogna porre attenzione in egual modo alla pressione minima (o pressione diastolica). Le linee guida internazionali hanno stabilito che si parla di ipertensione nei soggetti con diabete quando la pressione arteriosa sistolica isolata è superiore a 130 mmHg o la pressione arteriosa diastolica isolata è superiore a 85 mmHg o la pressione sisto-diastolica è superiore a 130/85. Mantenersi al di sotto di questi valori significa quindi ridurre tutti quei rischi legati al pericolo di malattia cardiovascolare.
Quali sono gli organi a rischio?
L’attenzione va subito rivolta agli organi che subiscono il maggiore insulto quando la pressione arteriosa si eleva oltre i valori normali. Tra questi il rene, le arterie, il cuore, il cervello e la retina. Gli effetti negativi sono immaginabili: insufficienza renale, cardiopatia ischemica o infarto, ischemia cerebrale, arteriopatia obliterante degli arti inferiori, ipertrofia ventricolare e scompenso cardiaco, retinopatia proliferante.
Tutti i pazienti diabetici sono a rischio?
Non tutti i pazienti diabetici si comportano allo stesso modo. Esistono, ad esempio, alcune differenze fra ipertensione e tipo di diabete: infatti nel tipo1 o giovanile l’ipertensione arteriosa si manifesta spesso alla comparsa di microalbuminuria, primo campanello d’allarme della nefropatia diabetica (complicanza cronica della malattia), o addirittura dopo. Nel diabete di tipo 2 o dell’adulto, invece, l’ipertensione purtroppo è più frequente. È presente spesso alla diagnosi della malattia ed ha un decorso simile all’ipertensione essenziale. Il danno renale è spesso più tardivo ed è secondario alla stessa ipertensione. La frequente associazione di elevati livelli di colesterolo totale e di colesterolo-LDL, bassi livelli di colesterolo-HDL, ipertrigliceridemia, obesità e iperglicemia, fa supporre come tutti questi fenomeni siano riconducibili ad un unico fenomeno, l’insulinoresistenza, molto frequente nel paziente diabetico adulto. L’insulinoresistenza, infatti, è caratterizzata dalla scarsa efficacia d’azione dell’insulina che non permette quindi l’utilizzazione del glucosio per i suoi scopi energetici.
L’ipertensione arteriosa dà sintomi?
Non sempre valori pressori oltre i limiti normali danno sintomi specifici. Solo livelli pressori molto elevati ed improvvisi (le cosiddette crisi ipertensive) possono dare sintomi come emicrania, senso di pesantezza alla testa, vampate di calore al volto, sensazione di testa pulsante. Queste situazioni possono essere molto pericolose per il rischio cerebrovascolare (ictus). Tuttavia, nei pazienti ipertesi di vecchia data, l’ipertensione può essere asintomatica e le eventuali crisi ipertensive possono insorgere senza manifestazioni cliniche evidenti e con il conseguente rischio elevato di danno ai vari organi bersaglio (cuore, cervello, rene, occhio).
Come controllare la pressione arteriosa?
È chiaro quindi come sia importante tenere sempre sotto controllo la pressione arteriosa monitorandone i valori ogni giorno.
Il controllo, preferibilmente, va fatto la mattina in condizioni di riposo e nel tardo pomeriggio proprio perché la sera vi è il maggior rischio di andare incontro a delle crisi ipertensive.
È consigliabile, pertanto, che ogni paziente diabetico iperteso sia in possesso di uno sfigmomanometro (meglio se a mercurio) e che sia in grado di utilizzarlo correttamente.
La terapia dell’ipertensione
Obiettivi
L’ipertensione richiede una strategia di intervento multifattoriale che deve riguardare non solo la terapia farmacologica ma anche un intervento non farmacologico indirizzato alla correzione delle abitudini alimentari, alla motivazione all’attività fisica e alle variazioni comportamentali. L’alimentazione è il primo intervento da effettuare. Occorre ridurre l’introito di sale, somministrare un numero di calorie in linea con il peso ideale (ciò per favorire il calo ponderale) e soprattutto saper bilanciare l’assunzione di proteine, lipidi e carboidrati. Anche l’attività fisica ha la sua importanza in quanto contribuisce al calo del peso corporeo, alla riduzione della massa grassa, ad una migliore perfusione dei tessuti, migliorando pertanto il benessere psicofisico. Tuttavia, non è sempre facile raggiungere gli obiettivi proposti, in quanto la maggior parte dei pazienti diabetici ha valori pressori superiori a quelli indicati dalle linee guida internazionali (cioè 130 /85 mmHg).
Terapia farmacologica
E’ necessario così intervenire con una terapia aggressiva per ottenere un successo terapeutico in linea con quanto stabilito dai vari studi clinici. Tra i farmaci di prima scelta sicuramente bisogna citare gli inibitori dell’enzima di conversione (gli Ace-inibitori) e gli antagonisti del recettore AT-I (i Sartanici). Essi sono in grado di modulare la pressione arteriosa, anche se assunti in condizioni pressorie stabili, senza rischio di portare il paziente a fenomeni ipotensivi. Fra gli Ace-inibitori bisogna preferire quelli che, fra gli effetti collaterali, non provocano tosse. Nel caso in cui il paziente presentasse valori di pressione diastolica elevati, occorre indirizzare la scelta verso i calcio-antagonisti facendo attenzione agli effetti indesiderati di molti farmaci di questa famiglia: uno per tutti è l’edema alle caviglie. Purtroppo la monoterapia spesso non è in grado di dare risultati accettabili, dovendo ricorrere all’associazione di più farmaci ipotensivi. Se ci si trova di fronte a pazienti con valori elevati di massima e minima bisogna intervenire con una terapia combinata, cioè associare ad un Ace-inibitore o ad un sartanico un farmaco della famiglia dei calcio-antagonisti che hanno un effetto più specifico sulla pressione minima. Tuttavia non devono essere trascurati altre categorie di farmaci come i beta-bloccanti o i diuretici che possono trovare una collocazione ben precisa se sotto controllo medico.
In conclusione bisogna tenere presente che la riduzione della pressione arteriosa, comunque ottenuta, impedisce o ritarda il danno renale e riduce l’incidenza degli eventi ischemici cardiaci e cerebrali. L’obiettivo per medico e paziente è pertanto rappresentato dalla stretta e continua sorveglianza della pressione sisto-diastolica, da una terapia farmacologica costantemente riveduta e monitorata dal medico specialista e da un corretto stile di vita.
Maurizio Di Mauro
Dipartimento di Scienze Biomediche
Ambulatorio di Diabetologia
Università di Catania